Il 12 Ottobre finisce l’esperienza dei Presidenti di provincia demo-eletti e in generale della rappresentanza diretta al livello territoriale intermedio. Dirà il tempo se questa riforma, sicuramente confusa e influenzata dalle narrazioni tipiche del nostro tempo, restituirà un sistema meno costoso e ugualmente affidabile. Facile prevedere che saranno necessari altri interventi di riassetto, e che probabilmente altre soluzioni di meso-livello emergeranno per coordinare le politiche dopo la probabile scomparsa delle province dalla costituzione. Certamente, l’elezione degli organi di governo nelle provincie ora è davvero storia. Ne racconteremo le vicende in tante salse retoriche. Ed è ragionevole pensare che conosceremo tante altre storie di mala-amministrazione. Dovremo tuttavia ricordare le donne e gli uomini di tutti i colori della politica che dal 1951 hanno messo un po’ del loro tempo al servizio della comunità. La stragrande maggioranza di essi non si è certo arricchita di politica. Al contrario, tutti questi eletti hanno spesso rinunciato a coltivare altre imprese, e altri affetti, per onorare il proprio senso di appartenenza istituzionale. Si dirà che il loro lavoro, soprattutto quello delle articolazioni della rappresentanza – le commissioni e i pletorici consigli – è rimasto quasi sempre lettera morta. È vero, ed è per questo che il cambiamento è legittimo. Tuttavia l’esperienza e il civismo accumulati in quel mare di chiacchiere che è la politica ha migliorato quelle donne e quegli uomini. Hanno imparato il confronto, il rispetto dell’avversario e il buon senso delle istituzioni. In molte realtà, quelle donne e quegli uomini hanno potuto sostenere proprio grazie al loro modesto ruolo istituzionale una legittimità democratica che lo stato non riusciva a saldare. Dobbiamo portare rispetto per questa esperienza, e cercare di focalizzarla anche per l’aiuto che le provincie hanno dato ad un paese dove la democrazia era tutt’altro che scontata, e che presenta ancora paurosi vuoti di legalità.
Negli ultimi venti anni, l’esperienza delle elezioni dirette ha ulteriormente sviluppato la funzione pedagogica e comunicativa degli enti locali. E se le istituzioni della provincia – ente intermedio difficilmente collocabile dai cittadini in una scala di potere e responsabilità – sono rimaste certamente schiacciate tra la delega dell’amministrazione “cittadina” e la scelta dei veri “governanti” regionali e nazionali, abbiamo visto all’opera molti nuovi politici, capaci, imprenditivi.
Non solo casta, insomma. Non solo politicanti senza mestiere parcheggiati nell’ennesimo congegno di auto-perpetuazione del ceto politico. Sarà importante parlare di cosa resta di questa esperienza di democrazia locale. Studiarne le implicazioni. Sono pronto a scommettere che, nel mare di sprechi e di negligenze che hanno connotato l’intera classe dirigente italiana anche dopo lo scossone degli anni 1992-1994, troveremo delle storie interessanti di personalità politiche che sono cresciute e che hanno fatto crescere le rispettive comunità. Sono pronto a scommettere che in questi ruoli troveremo alcuni dei (rari) politici giovani che hanno imparato a gestire le politiche pubbliche in modo moderno. Troveremo alcune delle (troppe poche) politiche donne che hanno fatto benissimo, mostrando la propria efficacia proprio in un ente pubblico dove magari erano state relegate dall’egoismo degli aspiranti leader maschi che avevano preferito collocazioni con maggiori risorse e maggiore visibilità.
Se le informazioni che raccoglieremo da domani mi faranno perdere la scommessa, potremo scrivere con certezza che la chiusura del capitolo provincie non ci lascia alcun insegnamento. Se invece la scommessa la vinco, potremo continuare ugualmente nelle riforme, tenendo presente che le storie di civismo e la formazione di bravi amministratori vanno custodite con cura, e non vanno confuse con l’immancabile spazzatura che la democrazia produce.effettuare modifiche.
Negli ultimi venti anni, l’esperienza delle elezioni dirette ha ulteriormente sviluppato la funzione pedagogica e comunicativa degli enti locali. E se le istituzioni della provincia – ente intermedio difficilmente collocabile dai cittadini in una scala di potere e responsabilità – sono rimaste certamente schiacciate tra la delega dell’amministrazione “cittadina” e la scelta dei veri “governanti” regionali e nazionali, abbiamo visto all’opera molti nuovi politici, capaci, imprenditivi.
Non solo casta, insomma. Non solo politicanti senza mestiere parcheggiati nell’ennesimo congegno di auto-perpetuazione del ceto politico. Sarà importante parlare di cosa resta di questa esperienza di democrazia locale. Studiarne le implicazioni. Sono pronto a scommettere che, nel mare di sprechi e di negligenze che hanno connotato l’intera classe dirigente italiana anche dopo lo scossone degli anni 1992-1994, troveremo delle storie interessanti di personalità politiche che sono cresciute e che hanno fatto crescere le rispettive comunità. Sono pronto a scommettere che in questi ruoli troveremo alcuni dei (rari) politici giovani che hanno imparato a gestire le politiche pubbliche in modo moderno. Troveremo alcune delle (troppe poche) politiche donne che hanno fatto benissimo, mostrando la propria efficacia proprio in un ente pubblico dove magari erano state relegate dall’egoismo degli aspiranti leader maschi che avevano preferito collocazioni con maggiori risorse e maggiore visibilità.
Se le informazioni che raccoglieremo da domani mi faranno perdere la scommessa, potremo scrivere con certezza che la chiusura del capitolo provincie non ci lascia alcun insegnamento. Se invece la scommessa la vinco, potremo continuare ugualmente nelle riforme, tenendo presente che le storie di civismo e la formazione di bravi amministratori vanno custodite con cura, e non vanno confuse con l’immancabile spazzatura che la democrazia produce.effettuare modifiche.