Sappiamo che di questo tipo di autolesionismo sono specializzati i partiti di sinistra. Ed è indubbio che nell’ultima fase connotata dalla leadership di Renzi – da qualsiasi parte la si voglia osservare – si sia accresciuta la propensione auto-distruttiva della sinistra. Ma questa è storia nota e finanche noiosa. Ci sarà tempo di riparlarne a Marzo, quando si conteranno i danni di alcuni, o più probabilmente di tutti, gli attori della sinistra.
Sappiamo anche della indubbia bravura di Berlusconi nel ruolo di campaigner. Tuttavia questa volta il Cavaliere e quel che resta del centro-destra “mainstream” sembrano costretti ad inseguire i sovranisti sul loro terreno, costruendo paure a partire da balle assolute come i famosi cinquanta euro “lucrati” per ogni immigrato, oppure con numeri letti male, per esempio l’esercito dei 600.000 migranti. Tutto sommato i risultati di tale azione sembrano piuttosto scarsi, sul piano del recupero di voti rispetto a Salvini e Meloni.
Chi guadagna dalla corsa all’autodistruzione rispetto alla politica responsabile sono dunque gli “antisistema”. Quelli che si dichiarano semplicemente anti-sistema ma non si capisce di quale sistema (e in generale di quale scelta politica) siano sostenitori, e quelli che in modo più o meno diretto sdoganano simboli e parole chiave del regime che si chiamò Fascismo, e che a causa della sua natura anti-democratica e delle sue implicazioni razziste, violente e xenofobe diventò nel 1948 l’esempio esplicito in negativo; il contrario del nostro modello costituzionale; la direzione da evitare. Infatti è la nostra costituzione che ne vieta la simbologia, limitando la libertà di qualsiasi organizzazione politica che ne suggerisca la rinascita.
Per oltre quaranta anni la nostra costituzione fu applicata da un arco di forze politiche molto composito ma connotato dal rispetto dei reciproci ruoli. In forza del consenso, talvolta anche considerevole, ottenuto dai nostalgici del fascismo, l’arco costituzionale permise ai sostenitori del vecchio regime di entrare presto in parlamento. Ma non li mise mai in condizione di nuocere all’equilibrio costituzionale. Fu grazie al riconoscimento dell’arco costituzionale come entità unitaria che si evitò al Movimento Sociale Italiano di varcare la soglia di una piena legittimazione, come mostra l’episodio della fine del Governo Tambroni nel 1960.
Quell’arco di forze costituzionali scomparve come è noto a seguito dei sommovimenti esterni ed interni al sistema politico che intervennero tra 1989 ed il1994, rovesciando l’ordine politico pre-esistente. Entrammo allora in un periodo denso di legittime aspettative, tra le quali si stagliava un disegno di democrazia maggioritaria che aveva tra le sue finalità quella di modernizzare l’intero catalogo della politica italiana, sostituendo le forze anti-sistema con elites ed organizzazioni leali ai valori democratici. A questo avrebbe dovuto servire la “svolta di Fiuggi” del nuovo partito di Alleanza Nazionale, anticipata dal generoso “sdoganamento” proposto da Berlusconi fin dal novembre 1993, quando il futuro leader di Forza Italia aveva espresso il suo endorsement a favore proprio del leader del MSI, allora candidato a sindaco di Roma.
Molta ambiguità ha connotato la successiva messa in opera di questo legittimo, per molti versi auspicabile, processo di modernizzazione della politica italiana. Per oltre venti anni molti ex dirigenti dell’ultimo partito neo-fascista, indossato il blazer e assunto toni e impegni da Partito Popolare Europeo, hanno fatto carriera nella coalizione Berlusconiana. Tuttavia lo sdoganamento non ha portato ad una rottura netta tra destra “di governo” e nostalgici, come puntualmente confermato dal rientro in coalizione di varie delle micro-forze di estrema destra che si erano opposte allo strappo di Fini. Poi è arrivata la crisi e alcuni di essi hanno preferito svestire di nuovo i panni da governante responsabile, tornando ad enfatizzare i “valori della patria”, al fianco dei nuovi leader populisti, in particolare a Matteo Salvini, che ha imposto una decisa virata a destra al cammino della Lega Nord. Tuttavia, tra quelli che “il fascismo non fa più paura”, oppure tra quelli che “parlate di questo per non parlare delle vostre colpe” ed altre sciocchezze del genere, non ci sono solo i leader di estrema destra. Il qualunquismo e il “bignamismo” – la lettura minima della storia – sono pratiche diffuse anche tra populisti “non schierati” come i leader del Movimento Cinque Stelle, in molti esponenti della "borghesia moderata" come si diceva in tempo, e perfino in ampi settori del centro-sinistra. Certo, questi settori fino ad ora non hanno promosso gente che viene dal centro della galassia neo-fascista. Non hanno ancora candidato nelle loro liste uno con un simbolo nazi tatuato in faccia. Ma non fanno discorsi troppo diversi quanto qualcuno richiama loro la lealtà ai valori dell’arco costituzionale.
La dabbenaggine della sinistra e la subordinazione della destra moderata disegnano insomma una sorta di gara di solidarietà verso l’isolamento di una minoranza di veri neo-fascisti verosimilmente irrisoria ma certamente oggi sempre più vocale. Conclamate apologie del fascismo trovano posto nelle istituzioni, negli studi televisivi, negli slogan raccolti da tifosi e da studenti. Si torna a cercare di costruire una sfida intellettuale basata sulla stucchevole narrativa del parallelismo “stragi naziste = foibe”. Si cerca continuamente di propalare pillole di storia manipolata. Soprattutto, si deride il fronte storico degli antifascisti. Quell’arco costituzionale che non riesce nemmeno a organizzare una evento unitario, come Macerata ci insegna. E ci danno pure lezioni morali, riflettendo con post pieni di umana pietas sulla empietà di quanto subito dal corpo della “povera Pamela”. Evidentemente, il comportamento inumano dei giovani di colore che verosimilmente hanno sezionato quel cadavere rendono eroica ai loro occhi anche la vita da tossicodipendente. Una categorie immancabile nel campionario di narrativa escludente dei razzisti, assieme ai “diversi” e, appunto agli “stranieri”.
Forse non dobbiamo (ancora) essere preoccupati per questo manipolo di neo-fascisti vocali. Ha probabilmente ragione chi ci ricorda che il fenomeno è ancora minoritario. Loro ci sono e basta. Dovremo invece cercare di menzionarli nei contesti giusti. Evitare di sovra-rappresentarli in televisione, tenerli lontani dalle liste e dalle giunte sinceramente democratiche.
Dobbiamo però essere preoccupati per noi. Perché il narcisismo di leaders non all’altezza e il bisogno continuo di consenso vocale fanno dimenticare anche agli attori sinceramente democratici che prima della diade fascismo-antifascismo c’è quella tra costituzione e opposto della costituzione. Ora diventa importante il lavoro “dal basso” e nel territorio. L’arco costituzionale dovrebbe riformarsi proprio a partire dalle comunità, dalle istituzioni rappresentative.
Da qualche tempo girano in molti comuni italiani bozze di risoluzione e mozioni che ancorano gli enti locali ad un modello democratico irrinunciabile. In questi giorni anche a Grosseto verrà presentata una risoluzione che ribadisce un concetto molto semplice: dati i vincoli imposti dalla nostra costituzione, le formazioni che non si dichiarano esplicitamente estranei alla tradizione fascista e che non aderiscono ai valori dell’antifascismo espressi dalla repubblica non possono avere una piena cittadinanza politica.
Ritengo questo uno strumento fondamentale, molto più utile di qualsiasi manifestazione. Perché è al tempo stesso un messaggio per i cittadini e un timone offerto ai futuri amministratori pubblici. Essi dovrebbero infatti stipulare un vero e proprio contratto vero con tutta la comunità di riferimento. Un contratto che da il senso del limite a quei cittadini –certo liberi di esprimere ogni idea, inclusa quella per cui la democrazia “…non vale la pena – ma vincolati dal divieto innegoziabile di apologia del contrario della democrazia. Infine, utilizzando tale strumento, gli amministratori potrebbero stimolare un senso di responsabilità nei propri sostenitori che trasformerebbe il loro consenso da “espressione occasionale” (di protesta, o di fiducia nel cambiamento) in una vera “fiducia istituzionale”. In questo modo potrebbero dunque garantirsi sopravvivenza politica e successo, perché solo dei cittadini responsabili possono capire il senso delle politiche responsabili.
Sono dell’idea che proporre mozioni che fanno chiarezza su questo punto non sia tempo perso per qualsiasi rappresentante dei partiti che si richiamano all’arco costituzionale repubblicano. E credo che oggi siano soprattutto le giunte di centro-destra a doversi esprimere in modo solenne a favore dei valori più profondi della costituzione repubblicana. In questo modo esse possono fugare ogni dubbio circa le loro alleanze e sulle loro proposte in merito al cambiamento, legittimo e spesso auspicabile, che vogliono spingere alle politiche pubbliche sul piano interno, europeo ed internazionale. Spero che anche a Grosseto la discussione su una mozione di questo tenore sia seria, consona alla importanza della posta in gioco, e infine produttiva.