Renzi e la Boschi hanno mantenuto la parola. E' un fatto. Il DDL costituzionale c'è. Più o meno coerente con il contenuto degli altri interventi in progress. Le cose annunciate ci sono, più o meno. La logica complessiva, fino a prova contraria, può reggere. I ragazzi del big bang si mostrano sicuramente più saggi dei saggi di Lorenzago. E non è una battuta: la politica deve dare risposte e questi sembrano tentativi di risposte, non riflessioni perdigiorno e guadagna-indennità come quelle a cui la classe politica ci ha abituato da almeno due decenni.
L'invito allora, fatte salve le legittime perplessità (personalmente io ne ho ) sullo stile da imbonitore, sui numeri della manovra, sulla causticità nei confronti della stessa classe politica di cui i nostri eroi fanno parte, è di prendere sul serio il capitolo delle regole del gioco. Questa roba, dice il premier, deve essere condivisa, tanto è vero che il primo attore a cui si è chiesto un confronto è un leader politicamente lontano (certo più di SEL, con cui il PD aveva costruito una promessa di legislatura, e per certi versi anche di Lega e M5S), macchiatosi di una colpa non irrilevante che ne aveva causato la decadenza dalla carica di senatore e l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Tale leader era stato tuttavia oggetto di un negoziato per il fatto di essere il riferimento riconosciuto della minoranza “costituzionale”. Bene. E' allora auspicabile e prevedibile che il confronto sia allargato a tutti coloro che hanno qualcosa da dire.
Per essere all’altezza del confronto dobbiamo impegnarci a leggere con attenzione, unire i tanti puntini che disegnano la nuova forma di stato e di governo, tradurre laddove possibile in analisi diacronica e comparata per capire i rischi di corto circuito. Dobbiamo evitare una esegesi puramente formale perché la costituzione letta da sola non dice molto (e comunque difficilmente potrebbe superare in bellezza e coerenza quella che abbiamo avuto sino ad ora). Dobbiamo ampliare l’orizzonte dell’analisi al circuito dell’UE e alle prospettive aperte al sistema delle autonomie.
Io ammetto di non essere del tutto convinto. Assai poco a dire il vero sono convinto dall’Italicum, in cui non vedo i geni degli ottimi prozii, e che assomiglia sempre più ai tratti dei vari leader PD e FI accoppiatisi contro ogni logica politica in nome dell’amore (per le liste bloccate o per la candidatura multipla?). Assai poco dalla nozione di Assemblea delle autonomie, sospesa tra la pletorica dimensione di un vero senato indiretto, magari inutile ma coerente sul piano della composizione, come quello francese, e un filtro federale di compensazione (che tuttavia non dovrebbe essere così pletorico e iper-rappresentativo) come il Bundesrat.
Tuttavia, non sono un costituzionalista ne un politologo esperto di riforme costituzionali. Sono forse ancora troppo attratto dal parlamentarismo assoluto, dalla classe politica pletorica che in tutti questi anni mi ha nutrito, visto che la studio. So anche che le singole regole, anche le più brutte, possono essere ingollate facilmente se l’organismo nel suo complesso è in salute e risponde creando endorfine costituzionali che aiutano a sopportare il dolore causato da piccoli inceppamenti e ernie istituzionali di varia natura. D’altra parte, il sistema elettorale migliore di tutti non lo conosco, mentre quello peggiore di tutti, questo lo sappiamo, lo ha generato Calderoli e la destra. Mi farei volentieri una ragione del dover vivere in un paese dotato di Assemblea delle autonomie, se mi dicessero che il prossimo manuale di diritto costituzionale avrà le stesse chances di durata del mio Mortati, fatta salva la manutenzione ordinaria delle leggi e le conseguenti riedizioni del manuale stesso.
Inoltre, e banalmente, dopo quanto abbiamo letto in questi anni poteva andarci peggio. Io credo ancora nello spirito della costituzione e nel parlamentarismo, mentre non vedo alcuna ragione per imbarcarsi in un semi-presidenzialismo che necessita di pesi e contrappesi diversi da quelli che siamo abituati ad avere. Questo DDL è rassicurante perché cambia davvero poco tra gli organi vitali e invece toglie finalmente un po’ di peso all'adiposo sistema istituzionale: via le provincie, vittime designate, e via il CNEL (per quanto mi concerne, green light: tutta questa fretta di Camusso di aspettare altri 65 anni per abolire un baraccone non la capisco).
Dunque, restando in attesa di giudizi e confronti adeguati faccio gli auguri sinceri al DDL costituzionale e alle riforme. Fusse che fusse la svolta buona, come diceva un indimenticato Nino Manfredi. In una logica estremamente costruttiva, propongo un limitato numero di questioni tanto per creare buone vibrazioni per coloro che davvero si ponessero come obiettivo quello di migliorare l’impianto del DDL che ho appena letto e portare a casa una riforma storica. Ecco allora le mie dieci domande a Renzi e alla ministra Boschi:
L'invito allora, fatte salve le legittime perplessità (personalmente io ne ho ) sullo stile da imbonitore, sui numeri della manovra, sulla causticità nei confronti della stessa classe politica di cui i nostri eroi fanno parte, è di prendere sul serio il capitolo delle regole del gioco. Questa roba, dice il premier, deve essere condivisa, tanto è vero che il primo attore a cui si è chiesto un confronto è un leader politicamente lontano (certo più di SEL, con cui il PD aveva costruito una promessa di legislatura, e per certi versi anche di Lega e M5S), macchiatosi di una colpa non irrilevante che ne aveva causato la decadenza dalla carica di senatore e l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Tale leader era stato tuttavia oggetto di un negoziato per il fatto di essere il riferimento riconosciuto della minoranza “costituzionale”. Bene. E' allora auspicabile e prevedibile che il confronto sia allargato a tutti coloro che hanno qualcosa da dire.
Per essere all’altezza del confronto dobbiamo impegnarci a leggere con attenzione, unire i tanti puntini che disegnano la nuova forma di stato e di governo, tradurre laddove possibile in analisi diacronica e comparata per capire i rischi di corto circuito. Dobbiamo evitare una esegesi puramente formale perché la costituzione letta da sola non dice molto (e comunque difficilmente potrebbe superare in bellezza e coerenza quella che abbiamo avuto sino ad ora). Dobbiamo ampliare l’orizzonte dell’analisi al circuito dell’UE e alle prospettive aperte al sistema delle autonomie.
Io ammetto di non essere del tutto convinto. Assai poco a dire il vero sono convinto dall’Italicum, in cui non vedo i geni degli ottimi prozii, e che assomiglia sempre più ai tratti dei vari leader PD e FI accoppiatisi contro ogni logica politica in nome dell’amore (per le liste bloccate o per la candidatura multipla?). Assai poco dalla nozione di Assemblea delle autonomie, sospesa tra la pletorica dimensione di un vero senato indiretto, magari inutile ma coerente sul piano della composizione, come quello francese, e un filtro federale di compensazione (che tuttavia non dovrebbe essere così pletorico e iper-rappresentativo) come il Bundesrat.
Tuttavia, non sono un costituzionalista ne un politologo esperto di riforme costituzionali. Sono forse ancora troppo attratto dal parlamentarismo assoluto, dalla classe politica pletorica che in tutti questi anni mi ha nutrito, visto che la studio. So anche che le singole regole, anche le più brutte, possono essere ingollate facilmente se l’organismo nel suo complesso è in salute e risponde creando endorfine costituzionali che aiutano a sopportare il dolore causato da piccoli inceppamenti e ernie istituzionali di varia natura. D’altra parte, il sistema elettorale migliore di tutti non lo conosco, mentre quello peggiore di tutti, questo lo sappiamo, lo ha generato Calderoli e la destra. Mi farei volentieri una ragione del dover vivere in un paese dotato di Assemblea delle autonomie, se mi dicessero che il prossimo manuale di diritto costituzionale avrà le stesse chances di durata del mio Mortati, fatta salva la manutenzione ordinaria delle leggi e le conseguenti riedizioni del manuale stesso.
Inoltre, e banalmente, dopo quanto abbiamo letto in questi anni poteva andarci peggio. Io credo ancora nello spirito della costituzione e nel parlamentarismo, mentre non vedo alcuna ragione per imbarcarsi in un semi-presidenzialismo che necessita di pesi e contrappesi diversi da quelli che siamo abituati ad avere. Questo DDL è rassicurante perché cambia davvero poco tra gli organi vitali e invece toglie finalmente un po’ di peso all'adiposo sistema istituzionale: via le provincie, vittime designate, e via il CNEL (per quanto mi concerne, green light: tutta questa fretta di Camusso di aspettare altri 65 anni per abolire un baraccone non la capisco).
Dunque, restando in attesa di giudizi e confronti adeguati faccio gli auguri sinceri al DDL costituzionale e alle riforme. Fusse che fusse la svolta buona, come diceva un indimenticato Nino Manfredi. In una logica estremamente costruttiva, propongo un limitato numero di questioni tanto per creare buone vibrazioni per coloro che davvero si ponessero come obiettivo quello di migliorare l’impianto del DDL che ho appena letto e portare a casa una riforma storica. Ecco allora le mie dieci domande a Renzi e alla ministra Boschi:
- Vedo dal pdf postato dal governo che l’art. 56 Cost. non viene emendato. Per quale ragione? Posto il risparmio delle 315 indennità da senatori (obiettivo a mio modo di vedere irrilevante) l’elevato numero di eletti di una sola camera (il vero problema secondo me) rimane, tanto più in una logica di sistema proporzionale non troppo dis-proporzionale come quello che si annuncia. Una riduzione verso un target di 400-500 deputati sicuramente innalzerebbe la soglia naturale di rappresentanza e darebbe un vero colpo ai “ricatti dei micro-partiti” (obiettivo dichiarato della riforma elettorale).
- Perchè, inoltre, non si interviene sull’elettorato passivo allineandolo a quello attivo?
- Perché, riducendo giustamente la complessità del sistema delle autonomie, non si è messo mano alla oramai difficilmente sostenibile distinzione tra regioni a statuto speciale e regioni ordinarie? Perché non sono abrogate anche le provincie autonome? Questo consentirebbe almeno di limare il caos di canali di legittimazione dei membri della seconda camera (pardon, assemblea).
- A prescindere dai dubbi di metodo sulla formazione della assemblea delle autonomie, quale sarebbe nel merito la sua cifra istituzionale? Non vedo rinnovati poteri di screening sulle nomine o sugli atti amministrativi, la co-partecipazione volontaria al processo legislativo risulta molto caotica (art. 70). Il “contentino” del parere possibile su tutti i documenti della camera sembra costituire un modello consultivo che non si addice a un vero braccio del parlamento. Almeno i poteri di iniziativa ex CNEL potrebbero essere riproposti in modo più efficace? A proposito, si tratta di una vera camera (art 70) o no?
- Sempre in fatto di poteri di interdizione, perché non si chiede un parere dell’assemblea delle autonomie anche sul bilancio?
- Quanto alla composizione di questa assemblea, c’è davvero bisogno di nominare da parte del Presidente della Repubblica ventuno cittadini (21?) che hanno illustrato la Patria. Per quale logica essi dovrebbero far parte di una assemblea di autonomie?
- A valle del processo di un bicameralismo asimmetrico ancora non chiaro, si ha una idea del rapporto con il sistema già esistente di conferenze inter-istituzionali?
- Si ha una idea del rapporto tra gli effetti di questa riforma e la prevedibile stagnazione nel processo di riforma del regolamento della camera (assumo che quello della futura assemblea delle autonomie dovrà essere scritto ex novo)? Questo è in realtà un punto centrale: si può infatti immaginare che la nuova capacità decisionale della camera implichi nuove problematiche rispetto a un regolamento pensato sulle “navette”. A questo si aggiunge la strana forma di “ghigliottina” prevista dall’ultimo comma dell’art. 72. Di nuovo, non era meglio pensare a una novella del regolamento invece di costituzionalizzare questa cosa?
- E ancora sull’importanza di una armonizzazione, perché la legge organica sui partiti non accompagna una riforma integrale del parlamentarismo? Non era il momento di proporla questo?
- Fatto salvo il divieto di vincolo di mandato, per quali ragioni non è stato considerato un intervento di deterrenza all'uso opportunistico della mobilità parlamentare collegando all'art. 67 un principio generale di continuità tra liste elettorali e gruppi partitici, o almeno preparando un divieto regolamentare di adesione individuali a secondi gruppi, e limitando la possibilità di mobilità al gruppo residuale?