Per lunghi anni ho vissuto a Siena senza conoscere realmente la figura di Vittorio Meoni. I “miei” partigiani erano quelli dei luoghi dove sono nato e cresciuto, e non mi sono mai occupato del resto della storia del territorio senese. Sapevo che Meoni aveva fatto la resistenza, che era un sopravvissuto (anzi, “il” sopravvissuto) di Montemaggio. Sapevo che aveva fatto e faceva politica nel PCI. Nel “partito” per eccellenza. La sua figura corrispondeva ad un modello di impegno politico che certamente riscuoteva attenzione e stima, ma che si sovrapponeva a tantissime altre figure pubbliche. Quelle figure che già allora cominciavano ad essere oggetto di una critica antipolitica che si faceva strada sia nella nuova sinistra che nella borghesia liberale.
Soltanto in età matura ho avvicinato la storia e la persona di Vittorio Meoni in modo più accorto. Mi è capitato, negli ultimi dieci anni, di ascoltarlo in diverse occasioni per motivi “istituzionali”. Ho letto alcune sue interviste ed un suo libro di memorie. E ho potuto collegare le tante cose che aveva da dire al nostro lavoro quotidiano di insegnamento e di diffusione di civismo. In particolare, ricordo un suo accorato appello all’unità del valore dell’antifascismo, espresso durante la commemorazione del 25 Aprile a Siena, cinque anni or sono.
Grazie a questa opera di ascolto ho potuto delineare i contorni di una personalità che non mi aspettavo: per nulla preoccupato della memoria fine a se stessa, o di esaltare una verità di partito, Meoni mi è apparso curioso e così disponibile verso le mutazioni del nostro mondo e delle generazioni. Lo ricordo menzionare i giovani senza la pretesa di offrire loro un mito da esaltare, ma invocando semplicemente le parole chiave della sua resistenza: libertà, diritti, razionalità, unità. E naturalmente lo “studio”, la più forte medicina contro le ingiustizie. Ricordo parole di straordinaria moderazione che Meoni opponeva alle semplificazioni e alla vocalità delle categorie politiche in voga. Ricordo il suo orgoglio, appoggiato esclusivamente sul valore positivo della costruzione democratica, senza concedere nulla alla retorica della “distruzione del male”.
Stamattina, quando ho appreso della scomparsa di Meoni, non ho potuto fare a meno di pensare ai tanti segnali di volontà di cancellazione della memoria collettiva. Talvolta sono vere e proprie manifestazioni apologetiche. Ne ho sentite molte nel mio girovagare per la Toscana, purtroppo anche durante questa estate. Manifestazioni odiose, sospinte dalla destra più retriva e dai quelli che in Europa come in Nord America approfittano della debolezza della classe politica per far girare la storia al contrario, rilegittimando le antiche pratiche dell’odio raziale, del nazionalismo, della xenofobia.
Abbiamo un solo modo per non darla vinta a questi fanatici. Impossessarci della nostra memoria collettiva. Prendendola per come si presenta, con le sue contraddizioni e le sue verità nascoste. Ma prendendola sempre sul serio. Per questo abbiamo bisogno di ricordare figure come Vittorio Meoni, perché sono loro che ci hanno permesso di incontrare la nostra memoria collettiva.
Soltanto in età matura ho avvicinato la storia e la persona di Vittorio Meoni in modo più accorto. Mi è capitato, negli ultimi dieci anni, di ascoltarlo in diverse occasioni per motivi “istituzionali”. Ho letto alcune sue interviste ed un suo libro di memorie. E ho potuto collegare le tante cose che aveva da dire al nostro lavoro quotidiano di insegnamento e di diffusione di civismo. In particolare, ricordo un suo accorato appello all’unità del valore dell’antifascismo, espresso durante la commemorazione del 25 Aprile a Siena, cinque anni or sono.
Grazie a questa opera di ascolto ho potuto delineare i contorni di una personalità che non mi aspettavo: per nulla preoccupato della memoria fine a se stessa, o di esaltare una verità di partito, Meoni mi è apparso curioso e così disponibile verso le mutazioni del nostro mondo e delle generazioni. Lo ricordo menzionare i giovani senza la pretesa di offrire loro un mito da esaltare, ma invocando semplicemente le parole chiave della sua resistenza: libertà, diritti, razionalità, unità. E naturalmente lo “studio”, la più forte medicina contro le ingiustizie. Ricordo parole di straordinaria moderazione che Meoni opponeva alle semplificazioni e alla vocalità delle categorie politiche in voga. Ricordo il suo orgoglio, appoggiato esclusivamente sul valore positivo della costruzione democratica, senza concedere nulla alla retorica della “distruzione del male”.
Stamattina, quando ho appreso della scomparsa di Meoni, non ho potuto fare a meno di pensare ai tanti segnali di volontà di cancellazione della memoria collettiva. Talvolta sono vere e proprie manifestazioni apologetiche. Ne ho sentite molte nel mio girovagare per la Toscana, purtroppo anche durante questa estate. Manifestazioni odiose, sospinte dalla destra più retriva e dai quelli che in Europa come in Nord America approfittano della debolezza della classe politica per far girare la storia al contrario, rilegittimando le antiche pratiche dell’odio raziale, del nazionalismo, della xenofobia.
Abbiamo un solo modo per non darla vinta a questi fanatici. Impossessarci della nostra memoria collettiva. Prendendola per come si presenta, con le sue contraddizioni e le sue verità nascoste. Ma prendendola sempre sul serio. Per questo abbiamo bisogno di ricordare figure come Vittorio Meoni, perché sono loro che ci hanno permesso di incontrare la nostra memoria collettiva.