Da tempo assistiamo all’emersione, apparentemente disordinata, di una serie di soggetti che hanno il comune obiettivo di occupare l’agenda pubblica per mettere in discussione le “presunte verità” della storia repubblicana. In particolare, le verità su cui si impernia la nostra cultura democratica e pluralista. Alcuni sono soggetti politici in senso stretto: propongono attività, raccolgono consenso, si presentano alle elezioni. Altri si propongono come riferimenti “culturali”, organizzando eventi per diffondere le proprie “controverità”. Altri ancora si costituiscono come articolatori di domande sociali: se c’è bisogno di tematizzare l’immigrazione si fondano gruppi di tutela delle popolazioni autoctone. Se il tema su cui monetizzare consenso è la sicurezza si organizzano le “ronde” e via così. Il procedere di questo movimento, ripeto, è apparentemente disordinato. Ma la logica che interseca tutte queste azioni è palese: erodere le certezze dei cittadini sul valore collettivo del nesso democrazia-responsabilità. In sostanza, si passa il messaggio per cui i cittadini potranno vivere meglio senza confermare la lealtà ai codici di rispetto che la democrazia ha imposto. Ecco allora che perdiamo il valore del rifiuto della violenza. Ecco che il rispetto di ogni “altro” diventa meno importante dell’orgoglio nazionale o della razza. Ecco che viene meno il riconoscimento di quel percorso storico che, per quanto contorto e finanche contraddittorio, ha garantito in Italia e in tutta Europa settanta anni di ordine poliarchico e pluralista .
Sono fatti da analizzare con grande serietà e con la giusta preoccupazione. Una preoccupazione che deve supera il livello di guardia quando avvengono fatti di violenza ostentata come quelli di Ostia. Ho apprezzato molto l’analisi del giornalista vittima della violenza del Sig. Spada. L’argomentazione è semplice: anche un naso rotto può servire a enfatizzare il fatto che violenza, odio e intolleranza sono elementi di un medesimo fattore latente che poi è la volontà di sovvertire le garanzie sino ad oggi condivise per ancorare il bene comune. E non stupisce che la criminalità organizzata investa sui più ripugnanti protagonisti della contro-verità negazionista e razzista. Perché se è vero che “i fascisti sono tutti criminali”, benchè giuridicamente ineccepibile, è in Italia uno slogan da anni di piombo, è altrettanto vero che la criminalità ha sempre trovato nei fautori del mito neo-fascista il brodo di coltura per espandere il proprio business e sostituirsi allo stato come difensore di un presunto interesse collettivo.
A Grosseto da tempo è attivo un nucleo di Casa Pound. Altri soggetti non troppo lontani propongono letture pubbliche di testi apologetici, con sinistri messaggi di sfida al presidio democratico. Per varie ragioni, le istituzioni sembrano silenziate di fronte a queste provocazioni. Nella parte politica che oggi governa il capoluogo la componente moderata e conservatrice è obiettivamente vincolata dal maggior vigore e dalla vocalità delle formazioni radicali, e purtroppo la presenza di personaggi legati a talune formazioni neo-fasciste anche tra le file dei rappresentanti eletti non facilita un percorso di dialogo. Sull’altra sponda, assistiamo alla divisione del capitale politico dell’opposizione tra tanti soggetti che spesso sembrano più preoccupati di antagonizzarsi a vicenda che non di presidiare la democrazia. La coalizione di centro-sinistra, più direttamente legata alle culture politiche che ispirarono la costituzione, si divide sulle regole fondamentali, e comunque è solcata da idiosincrasie che talvolta lasciano ferite profonde. Il movimento cinque stelle, nel suo legittimo sforzo di proporsi al di fuori dello spettro politico classico, finisce per dimenticarsi un “dettaglio” non da poco: quei comandamenti costituzionali ai quali il movimento si appella nella sua incessante polemica hanno una storia che dovrebbe essere conosciuta a fondo, ma che il ceto politico improvvisato (non certo solo i leader di questo movimento) mostra invece di ignorare.
Intendiamoci il caso di Grosseto non è deviante. È tuttavia un caso paradigmatico della fatica che fa la “provincia” italiana ad uscire da logiche di contrapposizione tra “culture” che forse non meritano nemmeno l’uso di questa categoria.
Ci si muove in un vacuum: è evidente che mancano antidoti alle derive populiste, anti-establishment e neo-sovraniste. È evidente che la polemica politica, pur legittima e talvolta più che giustificata, non basta. Si tratta di sfide da affrontare nel medio-lungo periodo, offrendo una risposta in termini di responsabilità rispetto al predominio della “scorciatoie”. Si deve avere il coraggio di sfidare in campo aperto coloro che pensano di poter guadagnare nel caos di questi tempi, senza però cadere nella loro trappola. La radice antidemocratica, razzista e neo-sovranista del populismo va messa a nudo illuminando dolcemente le evidenze della storia. Scavando a mani nude nella verità, senza usare violenza fisica o verbale,
L’Isgrec – Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea – intende contribuire nel modo più efficace possibile, anche in chiave disseminazione prescrittiva, ad arginare questi fenomeni. E possiamo dare tale contributo solo in un modo: continuare a fare il nostro lavoro. Dobbiamo praticare la ricerca scientifica per trovare spiegazioni robuste dei fenomeni, e adeguate risposte “sul campo”. Dobbiamo parlare con le istituzioni. Con tutte. Perché sarebbe folle fare classifiche di gradimento sulla base di affinità ideologiche. Ma dobbiamo anche ricordare con fermezza a tutte loro il dovere di servire la costituzione repubblicana in tutte le sue parti.
Dobbiamo infine parlare con quella stessa “gente” che nello scenario populista ha sostituito la “cittadinanza”, per ricordare a tutti che essere informati sulla propria storia è un dovere prima ancora che un diritto.
Siamo convinti che l’unico antidoto di fronte al dilagare di messaggi neo-sovranisti, razzisti, fascisti e nazionalisti sia l’esercizio continuo della memoria collettiva.
È questo che ci spinge a partecipare ai progetti che servono a cristallizzare le testimonianze che ci ha lasciato la resistenza. A lavorare con serietà ai fondi di archivio così come alla ricerca storica, evitando approcci dilettantistici e messaggi roboanti. Vogliamo lavorare per consolidare la culturae democratica. Non ci interessano i messaggi roboanti di quelli che hanno le soluzioni in tasca e che saltano sulle imprese culturali solo per fini di promozione individuale o politica. Pensiamo che un istituto di studi storici e sociali debba essere un luogo di confronto e non di mobilitazione. Certamente combatteremo sempre la propaganda revisionista . Certamente parteciperemo a ogni tipo di azione protesa a rafforzare la legittimità delle forze autenticamente democratiche. Se faremo bene questo ,che è il nostro lavoro, non potremo mai essere tacciati di parzialità.
Il 28 Novembre facciamo la nostra assemblea annuale. Se volete venire a dare un contributo siete i benvenuti. Noi contiamo di rimanere ancora a lungo a rappresentare un baluardo dei valori democratici e uno strumento effettivo di esercizio del capitale culturale a Grosseto e nel suo territorio.
Sono fatti da analizzare con grande serietà e con la giusta preoccupazione. Una preoccupazione che deve supera il livello di guardia quando avvengono fatti di violenza ostentata come quelli di Ostia. Ho apprezzato molto l’analisi del giornalista vittima della violenza del Sig. Spada. L’argomentazione è semplice: anche un naso rotto può servire a enfatizzare il fatto che violenza, odio e intolleranza sono elementi di un medesimo fattore latente che poi è la volontà di sovvertire le garanzie sino ad oggi condivise per ancorare il bene comune. E non stupisce che la criminalità organizzata investa sui più ripugnanti protagonisti della contro-verità negazionista e razzista. Perché se è vero che “i fascisti sono tutti criminali”, benchè giuridicamente ineccepibile, è in Italia uno slogan da anni di piombo, è altrettanto vero che la criminalità ha sempre trovato nei fautori del mito neo-fascista il brodo di coltura per espandere il proprio business e sostituirsi allo stato come difensore di un presunto interesse collettivo.
A Grosseto da tempo è attivo un nucleo di Casa Pound. Altri soggetti non troppo lontani propongono letture pubbliche di testi apologetici, con sinistri messaggi di sfida al presidio democratico. Per varie ragioni, le istituzioni sembrano silenziate di fronte a queste provocazioni. Nella parte politica che oggi governa il capoluogo la componente moderata e conservatrice è obiettivamente vincolata dal maggior vigore e dalla vocalità delle formazioni radicali, e purtroppo la presenza di personaggi legati a talune formazioni neo-fasciste anche tra le file dei rappresentanti eletti non facilita un percorso di dialogo. Sull’altra sponda, assistiamo alla divisione del capitale politico dell’opposizione tra tanti soggetti che spesso sembrano più preoccupati di antagonizzarsi a vicenda che non di presidiare la democrazia. La coalizione di centro-sinistra, più direttamente legata alle culture politiche che ispirarono la costituzione, si divide sulle regole fondamentali, e comunque è solcata da idiosincrasie che talvolta lasciano ferite profonde. Il movimento cinque stelle, nel suo legittimo sforzo di proporsi al di fuori dello spettro politico classico, finisce per dimenticarsi un “dettaglio” non da poco: quei comandamenti costituzionali ai quali il movimento si appella nella sua incessante polemica hanno una storia che dovrebbe essere conosciuta a fondo, ma che il ceto politico improvvisato (non certo solo i leader di questo movimento) mostra invece di ignorare.
Intendiamoci il caso di Grosseto non è deviante. È tuttavia un caso paradigmatico della fatica che fa la “provincia” italiana ad uscire da logiche di contrapposizione tra “culture” che forse non meritano nemmeno l’uso di questa categoria.
Ci si muove in un vacuum: è evidente che mancano antidoti alle derive populiste, anti-establishment e neo-sovraniste. È evidente che la polemica politica, pur legittima e talvolta più che giustificata, non basta. Si tratta di sfide da affrontare nel medio-lungo periodo, offrendo una risposta in termini di responsabilità rispetto al predominio della “scorciatoie”. Si deve avere il coraggio di sfidare in campo aperto coloro che pensano di poter guadagnare nel caos di questi tempi, senza però cadere nella loro trappola. La radice antidemocratica, razzista e neo-sovranista del populismo va messa a nudo illuminando dolcemente le evidenze della storia. Scavando a mani nude nella verità, senza usare violenza fisica o verbale,
L’Isgrec – Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea – intende contribuire nel modo più efficace possibile, anche in chiave disseminazione prescrittiva, ad arginare questi fenomeni. E possiamo dare tale contributo solo in un modo: continuare a fare il nostro lavoro. Dobbiamo praticare la ricerca scientifica per trovare spiegazioni robuste dei fenomeni, e adeguate risposte “sul campo”. Dobbiamo parlare con le istituzioni. Con tutte. Perché sarebbe folle fare classifiche di gradimento sulla base di affinità ideologiche. Ma dobbiamo anche ricordare con fermezza a tutte loro il dovere di servire la costituzione repubblicana in tutte le sue parti.
Dobbiamo infine parlare con quella stessa “gente” che nello scenario populista ha sostituito la “cittadinanza”, per ricordare a tutti che essere informati sulla propria storia è un dovere prima ancora che un diritto.
Siamo convinti che l’unico antidoto di fronte al dilagare di messaggi neo-sovranisti, razzisti, fascisti e nazionalisti sia l’esercizio continuo della memoria collettiva.
È questo che ci spinge a partecipare ai progetti che servono a cristallizzare le testimonianze che ci ha lasciato la resistenza. A lavorare con serietà ai fondi di archivio così come alla ricerca storica, evitando approcci dilettantistici e messaggi roboanti. Vogliamo lavorare per consolidare la culturae democratica. Non ci interessano i messaggi roboanti di quelli che hanno le soluzioni in tasca e che saltano sulle imprese culturali solo per fini di promozione individuale o politica. Pensiamo che un istituto di studi storici e sociali debba essere un luogo di confronto e non di mobilitazione. Certamente combatteremo sempre la propaganda revisionista . Certamente parteciperemo a ogni tipo di azione protesa a rafforzare la legittimità delle forze autenticamente democratiche. Se faremo bene questo ,che è il nostro lavoro, non potremo mai essere tacciati di parzialità.
Il 28 Novembre facciamo la nostra assemblea annuale. Se volete venire a dare un contributo siete i benvenuti. Noi contiamo di rimanere ancora a lungo a rappresentare un baluardo dei valori democratici e uno strumento effettivo di esercizio del capitale culturale a Grosseto e nel suo territorio.