Con i colleghi di Unisi, l'EuropeDirect, i ragazzi del Liceo Economico-Sociale di Colle val d'Elsa e spero un bel po' di studenti e cittadini, vi aspettiamo Venerdì al Bandierino in piazza del Campo, alle 16. Cercheremo di parlare d'Europa in modo "alto" ma comprensibile. La ricerca può aiutare a far crescere una coscienza e una opinione? Forse si. Comunque ci proviamo, stando assieme e aspettando il concerto di Stazioni Lunari. Non mancate!
Sono la persona meno adatta per celebrare il riconoscimento importante ottenuto da Maurizio Cotta – Il Mattei Dogan Foundation Prize è il più prestigioso premio nel campo della Sociologia Politica in Europa. Tutti sanno infatti del mio debito intellettuale verso Maurizio, e della amicizia che mi lega a lui, che in fondo, questo certamente è il suo unico ma enorme errore professionale, è il responsabile del mio passaggio dal rock praticante alla scienza sociale, avvenuto dopo aver seguito il suo corso di Dottrina dello Stato nel 1984. Sono anche troppo vicino a lui, ai suoi progetti di ricerca, per poter affermare qualcosa di minimamente obiettivo sul loro valore. Tuttavia, la gioia per aver saputo di questo riconoscimento mi obbliga a dire due cose due sui meriti di Maurizio. Quelli intellettuali e quelli umani. Sul piano intellettuale, dirò solo che il premio Dogan vale soprattutto come riconoscimento per un lavoro continuo e completo di ricerca, un ciclo in cui Maurizio Cotta ha giocato tutti i ruoli. Come studioso empirico “puro”, all’interno della nidiata dei Sartoriani, comincia a occuparsi di classe politica in Italia – la sua monografia del 1979 è ancora una fonte di ispirazione insostituibile – ma tiene sempre sott’occhio le tendenze comparate. Lo studioso piemontese è infatti un comparatista vero, capace di conoscere le lingue, le culture e la storia dei paesi che visita e che studia. Andare in giro con lui è sempre stata un’esperienza di puro arricchimento per me. Il premio Dogan giunge proprio come riconoscimento al lungo percorso di ricerca sulle elites parlamentari europee, che ha portato ai due importanti volumi di Oxford curati da Maurizio assieme a Heinrich Best tra il 2000 e il 2007. Quel lavoro ha aperto una strada sulla quale camminiamo ancora, e contiamo di camminare a lungo. Con Maurizio e con molti altri colleghi. Nel contempo, solidamente appoggiato ad una cultura giuridica e di teoria politica che raramente ho riscontrato nei politologi comportamentisti, Cotta ha coltivato lungamente lo studio delle istituzioni e dei partiti. E anche in questa veste ha saputo innovare e rinnovarsi, passando dalla focalizzazione delle istituzioni nazionali – tipiche della classica analisi politica comparata – alle dimensioni più recenti della politica multi-livello. Da qualche anno Maurizio si è messo a lavorare su evoluzioni e involuzione dell’Unione Europea. Oggi vi è più che mai bisogno di chiarire cosa sia e cosa potrà diventare questo sistema-non-sistema, e Maurizio è ancora al pezzo, pronto a sporcarsi le mani con dati e metodi sempre nuovi. Insomma, con una fittissima agenda di ricerca, continua e completa. Sul piano delle capacità personali e umane, direi che Maurizio Cotta è l’esempio paradigmatico del cocciuto costruttore di istituzioni scientifiche. Non si arrende mai. Non si stanca mai. Talvolta, il suo straordinario dinamismo lo porta a sbattere da qualche parte, proprio grazie alla differenza tra le sue pile duracell e quelle ordinarie di noi altri studiosi ordinari, costretti a fermarci di tanto in tanto in mezzo al campo. La tattica non esiste per lui, e ha un solo modo di motivare gli altri: dire loro quello che pensa. E quel che pensa conta, perchè ha sempre una visione ampia delle cose e del lavoro. Ascoltare quello che ha da dire è sempre un buon investimento di tempo Talvolta il suo estremo rigore può farlo passare per un tipo freddo e poco estroverso. In realtà non è così: è uno spasso lavorare con lui. Anche perché non è uno di quei leader che ama circondarsi di cloni più o meno stupidi. Figuriamoci: scherzando gli imputo di aver cercato di lavorare con persone sempre così diverse da lui, hyppies, comunisti, studiosi di relazioni internazionali …. Bravo Maurizio. Un bell’esempio per i giovani che stanno eroicamente rinnovando la scena della scienza politica italiana! E come sempre, grazie per il tuo lavoro. Il sito web ECPR relativo al premio Dogan Ho ripensato un giorno intero alle immagini ed ai racconti su quanto successo a Siena ieri: una protesta di studenti interrotta con una carica, un fermo, un ragazzo ferito. Ancora non mi capacito di come una cosa del genere possa accadere in una città piccola e colta, dove gli studenti costituiscono la prima componente di una comunità di privilegiati che si pone quotidianamente la questione di capire il mondo e, se possibile, renderlo migliore.
I fatti sono legati alla protesta messa in atto dagli studenti rispetto alla presenza di un leader politico divisivo come Salvini. La prima domanda è allora: fino a dove può spingersi una protesta di questo tipo? La mia posizione è semplice: la censura politica non può essere mai invocata. Sono abbastanza vecchio da ricordare di non aver raccolto l'appello di amici e compagni di Grosseto che pretendevano di non far parlare Giorgio Almirante nella città in cui, durante la sua ingloriosa militanza nella RSI, si era reso responsabile di arresti e condanne a morte. Ora, pur ammettendo sensazioni di assoluto disgusto verso la violenza verbale della nuova destra xenofoba, i cui slogan calpestano il rispetto dei diritti umani, giustificando le efferatezze che una minoranza di presunti civilizzati continua a esercitare sulla moltitudine umana di serie B che abita il globo, continuo a pensare che la censura serva solo ad alzare il volume della voce degli avversari della democrazia. Tuttavia, un libertario non può neanche imporre la censura a coloro che esprimono censura. Tanto più se questi ultimi si limitano a manifestare il proprio dissenso senza violenza. Se la piazza appartiene a tutti, soltanto l'ordine pubblico può garantire un equilibrio tra i diritti delle parti. Compito non facile, che affidiamo a gente che ci difende tutti i giorni, nonostante mezzi non eccelsi e salari non esaltanti (quelli degli operativi e dei giovani, sappiamo tutti dello squilibrio che caratterizza in ogni amministrazione pubblica il rapporto tra dirigenti e impiego e quello inter-generazionale). Siena ha sempre dimostrato che il rispetto tra le parti in gioco può essere costruito, apprezzando il senso della altrui misura. Ho ricordi bellissimi del civile confronto che testimoniai, quando presiedevo la Facoltà di Scienze Politiche a Siena, tra manifestanti e forze dell'ordine. Ed è solo un esempio di una memoria che viaggia fino agli anni ottanta, quando a mia volta facevo parte della popolazione studentesca senese. Conoscendo molti dei ragazzi che negli anni si sono alternati nel movimento, penso di poter dire che è soprattutto merito della loro maturità se le tensioni non hanno mai sconfinato nella violenza. So anche che le forze dell'ordine hanno avuto una parte importante di merito. Da ultimo, le dimensioni di una città piccola, totalmente dedita alla cultura ed alla sua università, costituisce un fattore cruciale per la conservazione del rispetto. Ieri, mi pare, abbiamo segnato una triste inversione di marcia. Non entro nel merito di antefatti e fatti che non conosco. Cerco solo di ragionare sulla grandezza dei fenomeni e sulle cose viste. La colonna degli studenti, non violenta e già ferma quando è arrivata la carica, non era di una numerosità tale da prefigurare il rischio di disordini. In ogni caso, poteva essere fermata prima, con la stessa interposizione. Le immagini che ho visto, girate nel corso di Siena, farebbero invece pensare ad una sorta di prova di forza, che francamente non si spiega neanche in una logica cinica di dissuasione: quei ragazzi erano chiaramente appagati dalla sola manifestazione di dissenso, e non avevano alcun modo di provocare situazioni di pericolo. Vi è poi qualcosa che davvero non sembra aver alcuna spiegazione logica: per quale motivo si deve fermare una persona che apparentemente è solo "uno di loro" per trascinarlo come un trofeo di guerra nel campo che ospita "gli altri?". Quale logica di risoluzione del conflitto, quale teoria di psicologia delle masse può giustificare tale azione, che al contrario può diventare una pericolosa azione di incitamento alla violenza? Che alcuni manifestanti pro-Salvini siano stati eccitati da questa sfilata si vede bene in molte immagini. Ma mi chiedo anche come possano essersi sentiti i compagni del malcapitato fermato, vedendolo trascinato in piazza Salimbeni, in mezzo ai militanti pro-Salvini. Chi leggerà questo post saprà che parlo (anche) sulle corde dell'affetto. Vedere il fermo di una persona che stimo e che so essere una persona per bene, vedere un mio ex studente, un interlocutore con cui mi confronto sempre con piacere e rispetto reciproco, portato via come un delinquente, mi ha fatto male. Ma penso anche al liceale finito in ospedale e a tutti coloro che pur non avendo conseguenze di alcun tipo sono tornati ieri sera a casa con mestizia e sgomento. Non credo che siano diventati oggi dei cittadini migliori dopo aver visto tutto questo, e non credo che siano più disposti al rispetto dei diritti altrui. Delle due, temo, possano diventare più radicali e meno tolleranti. Ma per fortuna conosco le risorse e la saggezza di tanti studenti, e so che sapranno leggere questa storia con la giusta misura. Tuttavia, se anche la città della saggezza e del rispetto è assurta alla cronaca per un fatto di violenza, vuol dire che nessuna comunità è immune dal rischio di tristi inversioni di marcia. La mia natura libertaria mi impone naturalmente di non accettare retropensieri. Diciamo che è un caso. Diciamo che domani torneremo a confrontarci a Siena, e nelle piazze anche più grandi di questo paese, senza pensare a riduzioni delle nostre libertà, o senza accusare nessuno di applicare riduzioni delle libertà. Ma nel momento in cui confermo la mia infinita fiducia, mi appello al senso di responsabilità di tutti, a cominciare dai responsabili delle forze dell'ordine: si rifletta su questi eventi; si cambino i registri sbagliati, e se necessario si riconoscano gli errori fatti. Abbiamo un'altra rivista di politologia Italiana in SCOPUS. Si tratta della RIPP. La Rivista Italiana di Politiche Pubbliche fondata da Giorgio Freddi quindici anni fa e da oramai lungo tempo entrata nella scuderia del Mulino, è finalmente e meritatamente entrata nel catalogo che premia l'eccellenza delle riviste scientifiche. Dopo aver affiancato Giliberto Capano, che ha condotto la rivista a questo traguardo, avrò l'onore di dirigere la RIPP con Nino La Spina nei prossimi due anni. Responsabilità importante, ma siamo tranquilli, data l'esperienza e la professionalità della redazione RIPP. Dopo l'eccellente lavoro di Federico Toth, sarà Stefania Profeti a coordinare il lavoro nel prossimo term. Assieme a tutti i redattori, naturalmente, e alla insostituibile Cristina Maltoni, responsabile della segreteria. Buon lavoro a tutti. UniCusano replica seccamente: Non capiamo questa polemica, a meno che non ci sia qualcuno che sta tentando di pilotare questo concorso...
Ovvero: Le commissioni composte da professori con le competenze richieste dal bando celebrano concorsi pilotati. Quelle composte da professori incompetenti e amici di chi bandisce celebrano la meritocrazia. Ma la dichiarazione è grave, se confermata, perchè accusa un'intera associazione scientifica che si è fatta parte diligente di una richiesta di garanzia per decine di giovani studiosi i quali hanno diritto di essere giudicati con misura e obiettività da un collegio competente. E' un film già visto. Quando il mondo universitario riesce, pur con estrema lentezza, a prendere iniziative volte semplicemente al buon senso, e a contenere le derive del nostro stato egoista e auto-referente, arriva la vandea a dirci che siamo noi i corrotti. Così non si cambia niente. Il concorso in scienza politico gestito dall'ottimo ingegnere si farà e dopo un po' si smetterà di parlarne. Invece si deve continuare a parlarne. La prova in itinere per i frequentanti del corso Introduzione alla Comunicazione Politica si svolgerà il giorno 21 Aprile alle ore 11 presso il Padiglione B del complesso di San Niccolò.
Il caso del concorso RTD a Unicusano con 4 commissari su 4 esterni alla disciplina ha risvegliato un dibattito che sembrava sopito tra i cultori di scienza politica (e spero che ora la nostra associazione professionale riconsideri anche le mie proposte, o altre, sulla carta etica!). In ogni caso, il nostro Presidente ha scritto al rettore di quell'ateneo e vedo molti post sull'argomento.
Anch'io ho scritto, per ribadire il punto. Ma credo sia necessario uscire dai confini della disciplina e affrontare il tema dell'interpretazione etica delle norme sull'autonomia (in particolare sulle modalità di scelta di quei pochi giovani che riusciremo a reclutare). Ragionare solo in piccoli ambiti ci rende poco incisivi e non fa capire fuori che ci sono ancora dei professori universitari dei quali ci si può fidare. Insomma, smarchiamoci dalla solita acquiescenza. Altrimenti Pivato scriverà un secondo libro dicendo che abbiamo già passato il limite dell'indocenza. Al Magnifico Rettore Università UniCusano, Roma Caro collega Mi permetto di scriverTi dopo aver visto la lettera del Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (SISP) a te indirizzata. Sono tra quelli che hanno spinto il Presidente a stendere questo tipo di lettere ed a chiedere un reclutamento affidato a rappresentanti autorevoli della disciplina. In generale, auspico un processo di selezione delle nuove leve accademiche incentrato sul merito, su valutazioni adeguate, su ambiti di competizione sufficientemente vasti e sulla massima trasparenza. Tutti criteri che le attuali normative rendono percorribili ma che possono essere anche facilmente aggirati, in particolare dall’uso improprio delle regole sui profili, la circolazione dei bandi e la formazione delle commissioni. Per questo sono da tempo latore di alcune proposte, inclusa una bozza di carta etica, che ho sottoposto alla mia associazione professionale, ma che potrebbero essere oggetto di un dibattito più ampio. Ti allego volentieri tali proposte. La Scienza Politica è una disciplina sufficientemente consolidata sul piano accademico. Conta su un buon numero di incardinati e si è rafforzata negli anni, anche per la presenza di una serie di approcci e di "sub -discipline" rilevanti. Tuttavia, come Ti ricorda il Presidente Grilli, in virtù di tale segmentazione, la disciplina mostra confini piuttosto mobili che si sovrappongono ad altre discipline dell'area CUN 14, e non solo. Se avrai voglia e tempo di leggere le cose che Ti indico (ed altre riflessioni, mie e di colleghi ben più eminenti, che sono pronto a segnalarti) ti accorgerai che questa testimonianza - spero non isolata - non proviene dalla nostalgia, o da una cultura accademica retriva e corporativa. Al contrario, sono convinto che dobbiamo prendere estremamente sul serio gli strumenti normativi che abbiamo oggi (e in particolare il sistema di reclutamento ancorato all'impianto della L.240/2010), con una gestione oculata delle procedure e con quel buon senso istituzionale che rimane necessario nella messa in opera di qualsiasi tipo di norma. Il reclutamento degli RTD oggi rappresenta l'assicurazione da stipulare, per allontanare il rischio di un definitivo regresso della qualità accademica Italiana. È una risorsa molto scarsa - lo sappiamo - e non possiamo dilapidarla utilizzando le procedure in modo così poco professionale. Se poi si vuol cambiare e spingere per un reclutamento "manageriale" incentrato su indicatori di rendimento e su arbitri in qualche misura esterni alla disciplina, benissimo! Parliamone, ma con una azione trasparente e volta alla messa a punto di nuove norme e di adeguati criteri per la formazione dei collegi che saranno chiamati a valutare i candidati. Mi fermo qua. Come Ti ho detto sarò felice di esporti il mio punto di vista se lo riterrai opportuno. La mia lettera al momento vale solo come un caldo invito a riconsiderare la nomina per la commissione del concorso in Scienza Politica, investendo colleghi più adatti alla missione. Personalmente, nonostante l'enorme quantità di tempo che si perde, ho sempre cercato di rispondere positivamente agli inviti a far parte di commissioni di concorsi di valutazione comparativa. Considero infatti questa parte del nostro lavoro un dovere morale, e quindi sarei sicuramente disponibile anche nel caso di una chiamata da parte del tuo ateneo. Sono certo che molti altri colleghi sarebbero pronti a fare parte della commissione. Un cordiale saluto Luca Verzichelli Se ne andato improvvisamente Aldo Di Virgilio. Professore di scienza politica a Bologna. Collega stimatissimo da tutta la disciplina. Sono qui da ore che mi chiedo cosa dovrei fare adesso. E’ tale lo sgomento che non riesco nemmeno a parlarne con qualcuno. Se ci provo mi commuovo. Come mi commuovo se solo provo a scrivere una qualsiasi cosa su questo foglio bianco. Ma proprio per questo voglio postare un ricordo, anche piccolo, di Aldo. Per dire a tutti quelli che lo conoscono che gli voglio bene. Gli vogliamo bene. Per dire che è stato e rimane per me un esempio. Di dedizione, signorilità, professionalità, passione. Quando ho cominciato a lavorare nella redazione della RISP, oltre venti anni fa, è stato Aldo a insegnarmi i primi rudimenti. Il capo redattore era allora Cartocci e Aldo era una sorta di fratello maggiore nella redazione. Marcandolo stretto imparammo, senza mai eguagliarne la precisione, a gestire la rivista e le recensioni. Assieme a Alessandro Chiaramonte ho avuto il privilegio di affiancare Aldo nella lunga saga dei libri elettorali ispirati da D’Alimonte nel 1994. Ne abbiamo parlato tante volte con orgoglio di questa avventura, che ha visto crescere altri colleghi con i quali abbiamo poi condiviso altrettante iniziative, Legnante, De Sio, Tronconi e vari altri. Ogni volta ci chiedevamo se non valesse la pena di fare una cosa assieme. Lui era l’uomo dell’offerta elettorale. Io quello dell’archivio dei parlamentari. I nostri scritti si sono intrecciati pur rimanendo due fili separati, spesso collocati agli estremi del volume. Ma cosa importava? Quella era davvero una impresa collettiva. Infatti penso spesso che quei volumi, così importanti per me, sono sempre stati la prova che anche i libri collettanei possono fare la differenza. Poi ho incrociato Aldo a Bologna, dove per qualche tempo siamo stati colleghi. Ho fatto con lui tante cose condividendo sempre il piacere di lavorare assieme. Tante volte abbiamo progettato assieme una futura ricerca che spesso, per gli impegni reciproci, non abbiamo nemmeno iniziato. Ma fantasticare su dati, ipotesi e progetti era di per se una condivisione forte. Non riesco davvero a immaginare un congresso della SISP o un convegno sul voto o sui partiti senza scorgerlo prima o poi tra i capannelli dei colleghi. Ma quello che ricordo ora , e quello che mi mancherà per la vita che mi resta, sono le sue parole, sempre piene di amore, sulle cose della vita. Sui nostri figli, sulla scuola. Sul senso che può avere spendere la propria vita sui treni o sui bus, per la passione maledetta che ci accomuna, quando tante altre cose belle e importanti vengono lasciate indietro. Abbiamo parlato anche di politica e di questo paese. Non c’era una cosa sulla politica italiana, e non solo italiana, che non interessasse Aldo. Sentire le sue reazioni pacate e puntuali, confrontarmi con i suoi commenti non mi lasciava mai indifferente. Così era per me. Così è stato per decine di persone più giovani che tra Firenze a Bologna, oppure nei tanti convegni della SISP o della SISE, hanno potuto contare sui suggerimenti e sui commenti di Aldo. Ci sono tante altre cose che vorrei dire e altre ancora, sono sicuro, mi verranno in mente. Non credo che dimenticherò mai Aldo. Non credo che la Scienza Politica Italiana lo dimenticherà. Era giusto dirlo. Ma ora lascio le lacrime scendere e mi taccio. Di fronte allo sgomento per una morte inaspettata e ingiusta, e al dolore della sua famiglia e di tutti noi, il silenzio e la preghiera forse sono più adeguati.
Giornatona oggi a unisi. Per legalità organizzata abbiamo cominciato stamani con una intervista pubblica, sui temi della nuova criminalità economica, a Nicola Gratteri ed al comandante della Guardia di Finanza regionale, Andrea De Gennaro. Proprio Gratteri si è soffermato a lungo sulla precisione e sulla attenzione nelle questione sollevate da alcuni studenti.
Nel pomeriggio al San Niccolò l'abbraccio a Francesco Guccini, Almeno 3 generazioni di fans, ma anche analisi appassionate, tra poesia, letteratura, storia, filologia. E di nuovo, abbiamo ammirato l'attenzione dei più giovani, non certo soltanto dei nuovi "fan", ma cultori attenti, capaci di estrarre ancora più emozione ed emozioni ancora nuove dalle canzoni e dalle parole del cantautore di Pavana. Non mi stupisco della qualità dei nostri studenti. Come si diceva questa mattina, siamo ancora un paese ricco di cultura, e il sistema scolastico italiano è ancora competitivo, nonostante le vessazioni subite. Non mi stupiscono certo l’autonomia e l’articolazione dei loro pensieri. Tuttavia, ogni volta mi sorprendo della quantità di passione che questi ragazzi ci trasmettono. La conclusione banale, ma la verità in fondo è banale, è che davvero sono un privilegiato a fare questa vita. Poi tre considerazioni, spero utili per un numero più ampio di cervelli e di cuori. Primo. Si può discutere di tutto, dai tecnicismi di una legge a quelli di una analisi letteraria, se si è capaci di collegare anche il più minuto dettaglio a una visione. E oggi di persone capaci di esprimere una visione, tra relatori e studenti, ne ho ascoltate tante. Secondo. Si deve discutere tutti assieme. Certo, è più facile che ad una lezione di Guccini, che ne so, un economista, o un medico, o un giurista si emozioni assieme alle donne e agli uomini delle lettere. Ma è anche possibile vedere ragazzi del quinto anno delle superiori che ringraziano un giudice, un bravo giornalista, magari anche uno con una divisa piena di stelle, che gli hanno regalato una visione chiamata legalità. Io ho rimosso del tutto il mio già povero latino, e non ho mai capito davvero perché ci chiamiamo “università”. Ma credo che abbia a che fare con l’emozione che provo quando vedo colleghi e studenti di diversa estrazione culturale che si ascoltano a vicenda. Terzo. L’università pubblica – ma infondo tutte le università, dato che ognuna di esse porta con se qualcosa di pubblico – non può dimenticare l’obiettivo imprescindibile della passione civile. Si può discutere sulle implicazioni di tale obiettivo, ma un impegno a tutelare il diritto di immaginare cose migliori e ad intervenire sulla realtà, non possiamo non prendercelo. Forse anche questa è una banalità. Ma è una banalità di cui ci dimentichiamo spesso, presi dal lavoro quotidiano. Nel dubbio meglio annotarmi in questo post che suscitare passione civile è un mio compito preciso. |
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December 2017
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